Eterologa, ticket tra i 400 e i 600 euro Solo in Lombardia tutto a pagamento.

analisi

La fecondazione eterologa costerà tra i 400 e i 600 euro. Lo ha chiarito il presidente della Conferenza delle Regioni Sergio Chiamparino al termine di una riunione a Roma. : «È stata definita una tariffa unica». – Il costo potrà variare tra i 400 e i 600 euro perché dipende dal ticket fissato nelle singole Regioni per le varie prestazioni necessarie ad effettuare la fecondazione (esami del sangue, ecografie, ecc.). Fa eccezione la Lombardia, che ha un orientamento diverso e ha ritenuto di far pagare interamente il costo della fecondazione eterologa sia a chi effettua l’eterologa all’interno della regione sia ai cittadini lombardi che vanno in altre regioni. «Ci auguriamo – ha auspicato Chiamparino – che il governo inserisca l’eterologa nei Livelli essenziali di assistenza che saranno pronti entro la fine dell’anno consentendo di eliminare quel margine interpretativo che necessariamente abbiamo dovuto inserire».

Il documento

Nel documento finale, redatto dalla Conferenza dei governatori, si legge dunque che «è stata condivisa la necessità di completare il percorso iniziato definendo per questa fare transitoria una tariffa unica convenzionale che quantifichi i costi per queste attività anche al fine di regolare le eventuali compensazioni relative alla mobilità interregionale». Sulla compartecipazione della spesa, «è stato condiviso che riguarderà la somma dei ticket per le prestazioni previste ed effettuate per questa tecnica di fecondazione nel rispetto dell’attuale normativa in materia di specialistica ambulatoriale». Quanto alla compensazione delle prestazioni effettuate in mobilità interregionale, «è stato deciso di proporre, in linea con quanto previsto dal Patto per la salute, che ogni Regione e Provincia autonoma riceverà dalle altre la differenza tra la tariffa convenzionalmente definita e quanto già introitato attraverso i ticket», a eccezione dei cittadini della regione Lombardia

Quanto costa ai lombardi

L’assessore all’Economia della Regione Lombardia, Massimo Garavaglia, ha chiarito la situazione «anomala» della Lombardia: «Vogliamo che il Governo dica subito se inserisce questa prestazione nei Lea. Se è così se ne assume l’onere e il problema viene risolto alla radice. Non è corretto, infatti, che una coppia lombarda, anche se va in Emilia Romagna, solo per fare un esempio, debba pagare interamente la fecondazione eterologa». Per i lombardi al momento l’eterologa costerà tra i 1.500 e i 4000 euro (il prezzo dipende dalla tecnica di fecondazione scelta)

Le tecniche

Le tecniche di fecondazione eterologa comprendono 3 diverse tipologie di attività da effettuarsi in setting assistenziale ambulatoriale. La conferenza delle regioni ha quindi condiviso una proposta di tariffe convenzionali da utilizzare nelle regioni e la relativa compensazione della mobilità interregionale. I costi variano a seconda delle tecniche utilizzate.

– Fecondazione eterologa con seme da donatore con inseminazione intrauterina: 1.500 Euro (compresi 500 euro per i farmaci);

– Fecondazione eterologa con seme da donatore in vitro: 3.500 euro (compresi 500 euro per i farmaci);

– fecondazione eterologa con ovociti da donatrice: 4.000 euro (compresi 500 euro per i farmaci).

In relazione alla compensazione per le prestazioni effettuate in mobilità per pazienti provenienti da altre regioni, la conferenza delle regioni ha deciso di proporre che ogni regione riceverà dalle altre la differenza tra la tariffa convenzionalmente definita e quanto già introitato attraverso i ticket.

La redazione di FIV Italia Blog ha tratto per voi da corriere.it

Fecondazione eterologa, esperti divisi tra chi è pronto a partire e chi è bloccato.

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di Giovanni Del Giaccio

LATINA – Il primo dibattito dopo l’approvazione delle linee guida e una situazione che resta ancora confusa rispetto alla procreazione medicalmente assistitita e in particolare alla fecondazione eterologa.

Ne hanno parlato a Sabaudia, nel corso delle giornate andrologiche pontine organizzate dall’unità di fisiopatologia della riproduzione del “Goretti”, diretta da Rocco Rago. Erano presenti i presidenti di società scientifiche e i rappresentanti di diverse realtà che si occupano del settore e hanno partecipato anche al tavolo ministeriale. Le linee guida ci sono ma ora si dovranno mettere a punto le vicende burocratiche, dal riconoscimento nei livelli essenziali di assistenza al pagamento dei ticket. “C’è un impegno del Ministero a inserire nei Lea entro il 31 dicembre questa pratica, altrimenti nel pubblico non sarà possibile farla” – ha detto Paolo Scollo, presidente della società di ginecologia. Confermato dai vari partecipanti il boom di richieste che arriva ai centri per l’eterologa, mentre di donatori non se ne vedono all’orizzonte. “Va immaginato un sistema di incentivi – ha detto Andrea Borini, presidente della società italiana di fertilità e sterilità – evitando sperequazioni al ribasso. Le linee ci impediscono oggi di usare le banche già esistenti di seme e ovociti perché si prevedono esami che non servono, mentre avremmo potuto partire da quelli mentre oggi trovare donatori sarà difficile”. Lancia una provocazione Antonio Guglielmino, esperto di procreazione: “Semplicemente non si fa, i tentativi sono 1,1 l’anno per quella medicalmente assistita, mentre l’eterologa è vista ancora come una cosa sporca”. La vede in modo diverso Mario Maggi, presidente della società italiana di andrologia: “In Toscana siamo partiti, si può fare e inviterei a vedere gli aspetti positivi di quello che è successo. Se siamo qui a discuterne è perché qualcosa è accaduto. I donatori? Mi fido della generosità degli italiani”. Se a Firenze si parte, a Roma è tutto fermo: “Anche noi abbiamo richieste a non finire – ha detto Loredana Gandini della Sapienza – ma siamo bloccati perché c’è l’intera macchina da organizzare e finché non avrò indicazioni dalla Regione e dall’azienda policlinico non potrò fare nulla. Va affrontato il capitolo della spesa, non basta aver deliberato”. A confermare i ritardi Giulia Scaravelli, responsabile nazionale del registro per la procreazione medicalmente assistita: “Nel Lazio il ritardo si riferisce all’applicazione della legge 40, è dal 2004 che si fa fatica ad andare avanti, ora c’è da augurarsi che dopo la delibera di giunta ci siano tempi brevi per l’eterologa e si cambi rotta sulla procreazione medicalmente assistita”.

La redazione di FIV Italia Blog ha tratto per voi da Il Messaggero

Fecondazione eterologa in Italia: il no del Gemelli

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Non si spegne il dibattito intorno alla fecondazione eterologa: il Policlinico Gemelli di Roma ha detto no a questo metodo di procreazione assistita

La fecondazione eterologa in Italia pare essere ancora una sorta di “miraggio” nonostante la sentenza della Corte Costituzionale e la recente approvazione delle Linee guida. Ne è la prova la decisione del Policlinico Gemelli di Roma di rifiutare questo metodo di procreazione assistita, scegliendo di offrire alle coppie in cerca di un figlio, soltanto il metodo della fecondazione omologa intrauterina. E tutto ciò nonostante l’ospedale romano rientri nei 21 centri italiani specializzati in procreazione medicalmente assistita.

Ancora molte difficoltà

Per quanto riguarda il Policlinico Gemelli di Roma, solo poco tempo fa Nicola Zingaretti aveva sottolineato l’impegno della Regione Lazio relativamente alla fecondazione eterologa in Italia. E, proprio in questo senso, si era sottolineato come un centro specializzato quale il Gemelli di Roma, sarebbe stato in prima linea sul tema grazie a un’elevata specializzazione dell’équipe medica e della struttura sanitaria. Insomma, sembrava solo una questione da definire. E, invece, con grande sorpresa (e rammarico) di tante coppie desiderose di un figlio, il Gemelli ha detto no.

I perché del rifiuto

Al fine di comprendere la decisione del Policlinico, innanzitutto, c’è da sottolineare il legame tra la struttura e l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Antonio Spagnolo, direttore dell’Istituto di Bioetica dell’Università Cattolica, ha spiegato il perché del no del Gemelli. Pare che il motivo fondante di questa scelta risieda nella non possibilità per il nascituro di conoscere i suoi genitori biologici. La tecnica di fecondazione eterologa in Italia, così come in altri Paesi nel mondo, prevede l’anonimato dei donatori. Ma pare non essere solo questo il motivo del rifiuto di applicare tale tecnica. Infatti, vi è anche un’altra ragione, più “morale” ed etica in senso prettamente religioso. Ovvero, la fecondazione eterologa renderebbe la genitorialità un qualcosa di meccanico (l’unione dei gameti da parte dei medici) e non il frutto spontaneo dell’amore tra due persone. Ovviamente, immaginiamo che tale decisione getterà nello sconforto moltissime coppie che si amano così come molte donne in cerca di un figlio che, per diversi motivi, non possono procreare.

Sì all’omologa intrauterina

Il Policlinico Gemelli di Roma, legato quindi a doppio filo alle decisioni etiche dell’Università Cattolica, ha invece deciso di offrire alle coppie soltanto la fecondazione omologa uterina. La spiegazione di tale scelta è che, con la tecnica di fecondazione omologa, si eserciterebbe un atto volontario, non portato a compimento a causa di una patologia. E, quindi, l’intervento medico sarebbe soltanto un aiuto all’amore e alla volontà della coppia.

Il senso della genitorialità

La fecondazione eterologa consiste in un “utilizzo” di gameti maschili e/o femminili o, ancora, di embrioni di soggetti esterni alla coppia quando esiste l’impossibilità a procreare. Questo, per esempio, accade quando la donna prende troppo tardi la decisione di diventare madre. E tale scelta è dovuta, a sua volta, a condizioni economico-lavorative tutte italiane, che non favoriscono la maternità. Al di là di ogni considerazione di tipo etico-religioso, anche la fecondazione eterologa sembra una scelta dettata decisamente dall’amore e dal desiderio (maturo e consapevole) di avere un figlio. Tutt’altro, insomma, rispetto all’idea di “atto meccanico” privo del desiderio autentico di genitorialità.

La redazione di FIV Italia Blog ha tratto per voi da bimbisaniebelli.it

 

Eterologa, molte associazioni contro i paletti nelle linee guida e nelle scelte delle Regioni

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Riammessa dalla Consulta, la fecondazione con gameti di donatori divide le Regioni e apre una polemica sui limiti imposti sull’età delle donne riceventi e sui costi a carico delle coppie. Ecco quali sono i punti più contestati

di SARA FICOCELLI

ROMA – La fecondazione eterologa, o meglio la donazione di gameti, consiste nell’utilizzo di ovociti e/o spermatozoi esterni alla coppia per un ciclo di procreazione assistita. Si tratta quindi di inseminazione intrauterina con seme di donatore, oppure di fecondazione assistita con ovociti e/o seme ottenuto da donatori. “In Italia  –  spiega l’embriologa Laura Rienzi, presidente Sierr (Società italiana embriologia riproduzione e ricerca) – la legge che regolamenta la procreazione medicalmente assistita (PMA), la Legge 40/2004, e quindi anche la donazione di gameti, prevede che l’accesso alla tecnica sia limitato a coppie infertili in età potenzialmente fertile, maggiorenni e di sesso diverso. Non possono quindi accedere alla donazione donne single oppure coppie dello stesso sesso”.

I criteri di selezione dei donatori
La sentenza della Corte Costituzionale (162/2014) ha cancellato ora gli articoli della Legge 40 che vietavano l’utilizzo di gameti esterni alla coppia, reintroducendo in Italia questa possibilità. La differenza tra la tecnica omologa e quella eterologa è sostanzialmente legata alla presenza di un donatore: se da una parte non ci sono problemi tecnici e procedurali legati a tale approccio, sono invece necessarie linee guida per definire i criteri di selezione dei donatori e gli esami da effettuare per garantire la massima sicurezza per i riceventi e regolamentare il numero di bambini che possono nascere per ogni donatore (possibile solo con la costituzione di registri dei donatori). “In particolare – continua Rienzi – i donatori (siano essi di uova o di spermatozoi) devono essere selezionati e controllati sulla base dell’allegato III punto 3 della direttiva europea 17/2006/CE. In breve, la normativa richiede una precisa valutazione dell’idoneità del donatore, che comprende l’età, lo stato di salute e la storia clinica, lo screening completo delle malattie infettive e di specifiche mutazioni genetiche. Le Società scientifiche Italiane di ginecologia, embriologia e andrologia hanno stilato un documento condiviso per affrontare tutti questi aspetti”.

Il fattore età: una discriminazione?
“Il documento della Conferenza delle Regioni  – spiega invece Antonino Guglielmino, direttore del centro U.M.R. di Catania, che cura una delle coppie che ha presentato i ricorsi sulla fecondazione eterologa – stabilisce l’età dei donatori maschili compresa tra 18 e 40, l’età delle donatrici tra 20 e 35, e l’età massima per le riceventi che non superi i 50 anni. La possibilità di avere l’eterologa con la copertura del Sistema sanitario pubblico è prevista fino a 43 anni. Le cellule riproduttive di un medesimo donatore non potranno determinare più di dieci nascite. Tale limite può essere derogato esclusivamente nei casi in cui una coppia, che abbia già avuto un figlio tramite procreazione assistita di tipo eterologo, intenda sottoporsi nuovamente a tale pratica utilizzando le cellule riproduttive del medesimo donatore”.

Molte regioni fin dal 2004 hanno dunque emanato linee guida regionali sulla fecondazione assistita che prevedono a carico del servizio sanitario regionale le tecniche di Pma solo entro i 41 o 43 anni di età. Ma sia nelle linee guida nazionali sulla legge 40 che nella stessa legge non è previsto un limite di età. Questa tendenza è stata poi confermata anche per le linee guida sull’eterologa, prevedendo un limite massimo di 43 anni per la donna che accede alle tecniche. La motivazione addotta è che le risorse regionali sono scarse e bisogna garantire chi ha più chance.

“Ma di fatto  –  spiega l’avvocato Filomena Gallo, docente di Legislazione ed etica nelle biotecnologie in campo umano dell’università di Teramo – questo limite è incostituzionale perché discrimina in base alla gravità dello stato di infertilità e all’età, anche alla luce del fatto che la legge madre, tra i requisiti, prevede un’età potenzialmente fertile, non indicando quella definitiva, in considerazione del fatto che vi è differenza tra donna e donna. La discriminazione effettuata è insomma gravissima: proviamo a immaginare se trasferissimo questo limite e la relativa giustificazione alle altre patologie. Sarebbe come prevedere che un malato di cancro possa accedere alla chemio se ha meno di 50 anni altrimenti no, meglio risparmiare quei soldi pubblici. In materia di accesso alle cure, non possono essere utilizzati questi criteri giustificandoli con la mancanza di copertura economica, le cure devono essere accessibili a tutti”.

“Le linee guida comportano il grave e importante rischio di inserire solo apparentemente o parzialmente nei Lea la Pma eterologa  – spiega Giovanni La Sala, direttore di ostetricia e ginecologia dell’arcispedale S-Maria Nuova-IRCCS di Reggio Emilia, docente presso l’università di Modena e Reggio Emilia – poiché circa l’80-85% della domanda di eterologa è rappresentata da coppie che hanno bisogno di ovociti di donatrici e nelle quali le donne, in media tra i 42 e i 43 anni, hanno alle spalle diversi cicli di Pma omologa non andati a buon fine”.

Se tre cicli non bastano
Il limite dell’età, inoltre, non è l’unico paletto: “Il Ssn  – continua Sala – copre i costi delle tecniche di Pma eterologa solo per un massimo di 3 cicli. Non è specificato se il limite dei 3 cicli vada riferito soltanto alle tecniche di Pma di II livello (fecondazione in vitro degli ovociti) o comprenda anche quelle di I livello (inseminazione degli spermatozoi nell’utero), e inoltre tale limite è del tutto arbitrario dal punto vista clinico-scientifico in quanto è ormai dimostrato che l’efficacia delle tecniche di Pma si riduce drasticamente non dopo 3 cicli, ma dopo 6. In altri termini, il Ssn è universalistico per la prima metà dell’impiego delle tecniche di Pma e diventa privatistico per la seconda metà”.

La posizione delle associazioni
“Molte Regioni – spiega Federica Casadei, dell’associazione ‘Cerco un Bimbo’  – fin dal 2004 hanno emanato linee guida regionali sulla fecondazione assistita che prevedono a carico del servizio sanitario regionale le tecniche di Pma solo entro i 41 o 43 anni di età. Questa previsione entra in contrasto sia nelle linee guida nazionali sulla legge 40 che nella stessa legge, dove non è previsto un limite di età. La tendenza è stata poi confermata anche per le linee guida sull’eterologa di alcune Regioni, che prevedono il limite massimo di 43 anni per la donna che accede alle tecniche”.

Anche secondo Laura Pisano, dell’associazione ‘L’altra cicogna’, le cure devono essere accessibili a tutti: “I Lea, fermi al 2001, non includono sterilità e infertilità. Questo ritardo influenza anche le Regioni per le risorse disponibili, discriminando le coppie dove la donna ha più di 43 anni. In nessun Paese comunitario è previsto tale limite”.

La diagnosi preimpianto per le coppie infertili e sterili è prevista dalla legge 40 (art. 14, c 5 art 6 e art 13), ed è applicabile nelle strutture pubbliche e private che risultano autorizzate ad applicare tecniche di fecondazione in vitro (Livello II e III). In Italia però essa non viene eseguita nelle strutture pubbliche, determinando un danno alle coppie che, per evitare un aborto, se portatrici di patologie genetiche, sono costrette a rivolgersi a strutture private.

Nel 2012 l’associazione Luca Coscioni ha ottenuto che il Tribunale di Cagliari ordinasse al laboratorio di citogenetica dell’ospedale Microcitemico di Cagliari di eseguire l’indagine diagnostica preimpianto o di utilizzare strutture esterne a seguito della fecondazione in vitro della coppia infertile ricorrente. In Sardegna, quindi, le coppie possono effettuare diagnosi preimpianto, ma nelle altre Regioni spesso le strutture non sono predisposte per l’indagine. Un esempio per tutti la Lombardia: nonostante l’ospedale Mangiagalli sia pronto per partire con la tecnica, esso resta in attesa di una risposta dal ministero, come se ancora dovesse essere chiarita la liceità della tecnica.

La redazione di FIV Italia Blog ha tratto per voi da La Repubblica